Acqua

Lavatoi e Lissiere, il ricordo dei riti della pulizia a Mezzano

Chi è nato dopo gli anni ’60 ne ha ricordo solo dai racconti dei nonni e dei genitori, ma una volta il cuore pulsante di ogni centro abitato, grande e piccolo, erano le fontane, i lavatoi e le lissiere.

Lavatoio, luogo di intensa socialità femminile

Il Canàl o lavatoio, utilizzato per il risciacquo dei panni, era un luogo affollato da donne, nel quale spesso nascevano liti e contrasti.

Qui le donne, a braccia nude anche in pieno inverno, con la pelle arrossata dal gelo dell’acqua, le guance infiammate e il fiato bianco di denso vapore, parlavano delle alterne vicende della valle e trovavano aiuto, comprensione e sostegno, per sé e per gli altri.

La posizione più alta, vicino alla fonte, era naturalmente la più ambita perché lì l’acqua era più pulita. Ma era una posizione che andava guadagnata all’interno degli equilibri sociali del borgo; dipendeva infatti non solo dalla tipologia dei panni da lavare (il primo posto veniva normalmente riservato ai panni dei bambini, l’ultimo al vestiario da lavoro), ma rifletteva anche la gerarchia familiare e la marginalità delle donne provenienti dagli altri paesi.

“Una volta quando mia madre aveva i bimbi piccoli e avrebbe dovuto avere la precedenza perché lavava i loro drapi, i pannolini, ha dovuto aspettare tanto perché nessuno le cedeva il posto in cima, dove l’acqua era limpida. Sicchè mia nonna, che teneva i bambini, non vedendola tornare. È andata a cercarla. Arrivata alla porta del canal l’ha vista aspettare pazientemente, allora è andata dalla prima della fila che stava lavando un paio di braghe, gliele ha strappate e sbattute in faccia gridandole di vergognarsi, poi ha mandato a casa mia madre ed è rimasta lei a fare il bucato” (Albina Svaizer)

“Poi quando si era al canal si cantava e i morosi sapevano secondo la voce chi c’era e dunque chi potevano andare a vedere la sera alla lisiera e allora si amoreggiava, per modo di dire, ma quello era il bello” (Francesca Dalla Sega)

Lissia, un rito che coinvolgeva tutta la famiglia

“La lissiera era un pezzo di vita, lì ci si chiedeva aiuto sia per la campagna, sia per altri lavori, ci si scambiavano consigli e si parlava di progetti”
(Lina Trotter)

Le lavanderie o lisiére erano dedicate al lavaggio della biancheria. A Mezzano ne esistevano due: la prima serviva la parte alta del paese, la seconda serviva la parte bassa.

A differenza dei lavatoi, all’interno di queste strutture erano presenti diversi focolari per il riscaldamento dell’acqua ed erano utilizzate solo due volte all’anno, in primavera e in autunno, per lisivàr con la cenere (lisciva), procedimento che durava più giorni, addirittura settimane intere. All’interno di grosse calcère da 80 litri si mettevano acqua bollente, sapone di grasso di maiale, cortecce, erbe e cenere. L’acqua veniva poi successivamente filtrata con un telo.

“Mi vien da ridere se fanno vedere il bucato con la cenere in televisione. Buttano l’acqua sopra la cenere e invece si deve cuocere la cenere nell’acqua e dopo si mettono vari colatoi e si butta sopra l’acqua con la cenere; la maggior parte della cenere rimane sul fondo della calgera e anche se ce n’è ancora un po’ in alto si ferma sul filtro e dopo quando levi i colatoi, vai al canal a sciacquare.
È un gran lavoro, soprattutto a pensarlo oggi che siamo abituati alle lavatrici. Si rimaneva lì ore e ore perché bisognava star dietro al fuoco, ci si portava le patate e si mettevano nella cenere a cuocere, si faceva il caffè e si stava a parlare, prima di tutto dei morosi se si era più giovani, e poi dei lavori che ti aspettavano durante l’estate, perché a marzo si sapeva cosa avresti dovuto fare.”
(Albina Svaizer)

Ogni famiglia organizzava due volte all’anno un’impegnativa lissia per il lavaggio delle lenzuola accumulate nei mesi precedenti. Mentre le donne della famiglia, solitamente la mamma o la sorella anziana, facevano la lissia, i ragazzi e i bambini erano impegnati a portare la legna per scaldare l’acqua.

Il profumo di pulito e di panni lavati con la cenere resta nel cuore, è profumo di casa, di una nuova stagione, di un nuovo inizio.

“Il canal era il lavatoio pubblico, del comune. Là si cercava di togliere con l’acqua fredda e il bruschin tutto lo sporco che si poteva. Sulla tola longa che c’era davanti alla lissiera, si insaponava tutta la biancheria e poi si allargava e si metteva nella brenta e si faceva la lisia e dopo di nuovo al canal a resentar, a risciacquare, e la biancheria era pulita.

C’era una regola, le più vecchie, le nonne o le mamme stavano in cima a sgorlar, a sbattere grossolanamente le lenzuola, poi la giovane che aiutava ed era forte sbatteva e strizzava i lenzuoli che, secondo quello che si era messo nella lisia, profumavano così tanto dell’assenzio che avevamo nell’orto, di scorze di limone, d’arancia o rametti di pino che, quando si mettevano nel letto, erano ancora profumati.

Se ne sporcavano parecchi perché bagni non ce n’erano e ci si lavava nella mastela; gli uomini poi facevano lavori per i quali si imbrattavano, così si ammucchiavano anche venti lenzuoli. Io e mia mamma facevamo il bucato piccolo quasi una volta al mese, perché eravamo solo due, ma anche noi avevamo sempre almeno 8 lenzuoli, le camicie bianche di tela di casa con scritto sul carrè i nostri nomi e poi le canevaze, gli strofinacci, che erano sempre sporche”

(Lina Trotter)

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