Lunghe le giornate nei boschi. Faticose e dure. Giornate di lunghi cammini e di alberi da abbattere, per far vivere la valle, per far vivere i boschi. I boscaioli, o boschieri per gli abitanti del Primiero, erano i custodi indomiti dei boschi e delle montagne del Primiero. Rifornivano Mezzano di legna, preservavano le foreste da incendi e frane con un lavoro continuo e attento a non invadere la vita selvatica. Erano le forti braccia umane del bosco.
Nel corso dei secoli la grande risorsa economica stabile di Mezzano fu il bosco. Dal bosco veniva il legname che serviva per il consumo privato e pubblico. Veniva utilizzato come legna da fuoco, da fabrica (costruzioni), da opera (mobilio), per la realizzazione di attrezzi di uso quotidiano, per le calchère (forni per la realizzazione della calce) e le ère (carbonaie); con il legno si realizzavano e mantenevano arche, argini e ponti, nonché le opere gratuite per la Chiesa.
Le taglie pregiate avevano soprattutto un grande valore commerciale per l’esportazione: attraverso la fluitazione delle bore (tronchi) lungo il Cismon, il Vanoi e il Brenta, il bosco di Primiero raggiungeva Padova e Venezia, dove larici e abeti erano richiestissimi tanto per l’edilizia quanto per l’Arsenale.
Anche l’industria mineraria di Primiero, tanto fiorente per alcuni secoli, sfruttò in abbondanza i ricchi boschi della valle per nutrire le bocche voraci e mai sazie dei forni fusori di Transacqua. A Mezzano si ricorda ancora la strada del carbon (che andava dai Ronchi de Col, Val de Riva, Anconéta, Imer, Caltèna e Boia fino alla Ferarèza) lungo la quale venivano quotidianamente trasportate grandi quantità di legname e di carbone dolce prodotto ‘nte la Val (in Val Noana).
Quello del boscaiolo era un lavoro durissimo e molto pericoloso, che veniva sempre svolto in squadre di almeno 8 o 10 boscaioli. Soggiornavano nel bosco per l’intera settimana (10 ore al giorno per sei giorni, dalla domenica pomeriggio al mezzogiorno del sabato) e dormivano nelle baràche (semplici ricoveri in legno), dove uno della compagnia svolgeva anche le funzioni di cuoco e “custode d’anime”.
Ai giovanissimi avviati a questo lavoro venivano assegnati compiti umili e di servizio, in particolar modo portare l’acqua dai ruscelli o dalle fonti ai più anziani che, quanto avevano sete, gridavano: “tìrela, tìrela bozzerino (portami acqua con la botàzza – botticella)”.
A guida del lavoro era il capo compagnia, che dava ordini ai boschieri o segnava il ritmo attraverso “El òp”, richiami cantati.
L’emigrazione interessò i boschiéri di Mezzano e dell’intera Valle di Primiero dalla fine dell’Ottocento, seppur in modo saltuario. Ma è solo dalla fine della seconda Guerra Mondiale che si apre un intenso periodo di emigrazione stagionale organizzata – che si tramuta spesso in definitiva – verso le Alpi Francesi, lungo tutta la fascia montana che va da Nizza ad Annecy e in misura minore verso la Svizzera, quasi esclusivamente verso il Canton Ticino.
La richiesta di manodopera specializzata, organizzata in squadre anche molto numerose, arrivò a Mezzano nella seconda metà degli anni Quaranta per voce di altri primierotti emigrati prima della guerra. La richiesta di lavoro riguardava sia il taglio di enormi lotti di legname che i lavori di disbosco per l’allestimento di teleferiche, funivie ed altri impianti di trasporto di cose e persone, mansioni per cui le squadre di Mezzano erano particolarmente apprezzate.
Le compagnie con un contratto in mano partivano normalmente in aprile con il treno e ritornavano solo in autunno inoltrato, anche a ridosso del Natale. Nei loro luoghi di lavoro venivano puntualmente raggiunte dal mensile decanale “Voci di Primiero” che i parroci inviavano con solerzia per mantenere saldo il ricordo della Valle e naturalmente per vigilare sulla loro “tenuta religiosa e morale”.ù
La lontananza prolungata delle giovani generazioni di uomini determinò purtroppo il progressivo abbandono dei prati di alta quota e di molti masi, ma contribuì tuttavia alla rinascita economica di Mezzano.
Per quanto duro fosse il lavoro, la paga di una giornata in Francia valeva come due o perfino tre giornate di lavoro di operai e muratori in paese. Fu così che moltissime famiglie riuscirono a costruire le proprie nuove case a Mezzano tra il 1950 e il 1965. Fu così che giovani coppie di innamorati, sebbene lontane per molti mesi all’anno furono in grado di costruirsi una vita dignitosa, spesso molto più ricca dei genitori. I sacrifici delle giovani fidanzate e spose non fu mai vano; fede e un amore profondo furono sempre sostegno delle giovani famiglie dei giovani emigrati stagionali.
Questo periodo si interruppe bruscamente con l’alluvione del 1966, quando si aprì in valle una nuova stagione economica basata sull’edilizia e il turismo, e l’attrattiva per il lavoro di boscaiolo di fatto scomparve, soppiantata da altre professioni meno pericolose e dure. Col nuovo millennio si assiste, però, a una ripresa di questa professione, favorita anche dalla tecnologia e dalle nuove attività legate al legno, teleriscaldamento su tutte.
Alla sera, dopo il suo richiamo cantato “Baita!”, tutti i boschieri si radunavano per mangiare l’onnipresente polenta dura. Dopo cena intonavano il Rosari dei boschiéri.
Nel cuore del borgo di Mezzano è sorta un’installazione in omaggio ai boschieri, rappresentati in uno dei momenti più intensi della loro giornata, quando dopo cena, stanchi ma sereni, intonavano il loro Rosario, che si chiudeva in modo maestoso e struggente con il “Salve Regina”.
Per questo ogni giorno dell’anno alle 20 viene diffusa la versione originale di questa preghiera, cantata nel modo che era d’uso nel passato dai nostri vecchi o in altre più moderne varianti, personali interpretazioni e originali ricami sul prezioso tessuto della tradizione.